“Un’altra volta, uno dei suoi astrologi di fiducia disse a Ne Win di stare in guardia contro un grave pericolo: la destra si sarebbe improvvisamente sollevata e lo avrebbe deposto. Ne Win allora dette ordine che da un giorno all’altro in Birmania si guidasse sulla destra e non più sulla sinistra come era stato dal tempo degli inglesi. L’intero paese fu sconvolto, ma ‘con questa sollevazione da destra’ la profezia, a suo modo, si avverò e lui evitò la vera rivolta”.
(pag. 74)
In questi giorni di coronavirus mi è accaduto di riprendere in mano ‘Un indovino mi disse’ di Terzani uno dei classici moderni della narrativa di viaggio, per cercare di comprendere quanto a distanza di tempo il suo oriente è vicino al mio o meno.
A Terzani venne profetato da un indovino di Hong Kong che nel ’93 non avrebbe dovuto viaggiare in aereo, perché sarebbe stato per lui mortale o comunque pericoloso. Da ciò inizia un viaggio straordinario in Asia a piedi, in treno, automobile o con le navi. In epoca di pandemia viene la curiosità a non pochi di conoscere il futuro o se ci sono profezie che in qualche modo contemplano un evento o circostanze come il coronavirus. Sì, le contemplano, ma non tra le cose rilevanti che accadranno. E’ tuttavia interessante, e a me affine, questa idea del futuro come motore della propria storia personale. In ciò ho sempre avuto un’incredibile affinità con gli orientali. Sarà che nel mio dna l’antenato era un pelosetto asiatico con la fronte obliqua e gli occhi a mandorla. Ognuno ha i suoi progenitori pelosetti. E’ tuttavia nel mio tipo di mentalità un discorso che quadra: il passato è passato. Importante quanto vuoi, ma non modificabile nei suoi fondamentali, anche se lo si può rivivere e quindi trasfigurarlo in modo diverso, specie in senso letterario: rileggere correttamente, a distanza o in modo più completo il passato cambia il presente o il futuro, oppure lo arricchisce. Se poi certe cose oggi in ogni caso non le vivremmo nello stesso modo del passato, questo comunque assume un altro tipo di dimensione. Diciamo che il passato è importante per tanti motivi. Il presente non esiste. Dal momento che lo dici è già passato. Una realtà ha valore solo se ha un futuro, se supera le contingenze con una visuale più vasta, se si distanzia dal presente. Il presente da anni è il tempo che ha scelto l’Italia, un paese ossessionato dalle contingenze, dove il futuro lo si immagina come soccorso del presente, mai come prospettiva. In Italia una cosa ha valore se risolve il tuo presente. Questo modo di pensare costringe gli italiani a ragionare sempre in termini di ciò che non esiste, se non per le piccole ambizioni personali o sogni amorosi, e da un po’ manco tanto. Il presente per esistere necessita di continue iniezioni di conservazione. La visione del futuro è l’unica cosa che espande anima e mente: vedere un bosco dove c’è un deserto è una delle cose che ha senso. Sono mie considerazioni, di cui Terzani non si preoccupa fondamentalmente in questo sua bella opera ascrivibile alla narrativa di viaggio, ma in qualche modo a essa ispirate.
Nel ’93 l’incidente di un aereo, su cui Terzani avrebbe dovuto essere a bordo, accadde davvero.
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