E’ da poco terminata Umbria Jazz 2014, il festival della musica jazz e non solo, forse più importante d’Italia. Con sempre un ottimo successo di botteghino, motivo di orgoglio della manifestazione, grazie anche agli artisti invitati di fama internazionale che poco o nulla hanno a che fare con il jazz, nonostante il tentativo degli organizzatori di dimostrare il contrario.
Il 16 e 17 luglio sono stati i giorni da me scelti per assistere a Umbria Jazz, destando la mia attenzione almeno tre dei quattro concerti in programma.
Vorrei iniziare subito con il concerto forse dai “media” più atteso e che meno mi ha impressionato né poteva, attese le “rivelazioni musicali” più recenti degli artisti in questione. Si tratta degli insigni Herbie Hancock e Wayne Shorter, due ex mostri sacri, testimoni e promotori di un’epoca musicale passata per sempre.
E’ stato un concerto “d’introspezione musicale nell’universo che è in noi”, come da loro stessi definito dal palco, ma con risultati poco convincenti, senza l’ispirazione necessaria e la ricerca musicale che spinge un musicista sul terreno fertile di idee e di genio.
Di tutt’altro tenore è stata l’esibizione del pianista giamaicano Monty Alexander con il suo Harlem Kingston Express che, innamorato dei ritmi del suo paese e del jazz, da sempre cerca una sintesi musicale dei due generi, con sensibilità sorprendente e un dialogo continuo tra l’afro-americano e l’afro-giamaicano. Con due ottime e distinte sezioni ritmiche, una per l’anima jazz, l’altra per l’anima reggae, hanno deliziato il pubblico nella seconda parte della fresca serata.
Il giorno 17 luglio è stata la serata dedicata anch’essa al piano, eccellentemente rappresentato nel primo concerto dalla giapponese Hiromi Uehara e dal dominicano Michel Camilo, disposti una di fronte all’altro per meglio intrecciare i loro cammini musicali e confrontare le loro esperienze. Grande pianista la giovane giapponese, tecnica sopraffina e grande energia condotte nel giusto binario da Michel Camilo, da decenni uno dei migliori promotori del jazz latino, ottiene le sue migliori espressioni quando la sua inquietudine musicale trae energia dalla tradizione afro-cubana.
Infine, come secondo concerto, si è presentato a noi l’atteso pianista cubano Gonzalo Rubalcaba, con la sua ultima formazione chiamata Volcàn, vulcano appunto, un nome che è tutto un programma.
Un quartetto di quelli che possono solo rimanere nella memoria della storia, visto il valore di Giovanni Hidalgo, Armando Gola e Horacio “el negro” Hernandez.
Il signor Carlo Pagnotta, direttore artistico di Umbria Jazz, nel presentarlo alla platea, ha definito Rubalcaba uno dei migliori “nella sua fascia”, senza spiegare di quale fascia si trattasse né cosa significasse quell’infelice espressione.
Un movimento tellurico ha invaso, poco a poco, l’Arena Santa Giuliana lasciando entusiasticamente increduli gli ascoltatori che tanta poesia ed energia potesse scendere ed avvolgere la platea, ciò a dimostrazione che quando la qualità viene offerta al pubblico, questi sa rispondere in giusta proporzione.
Grazie Gonzalo, per il tuo pianismo virtuoso e propositivo, sostenuto dall’impeccabile bassista Armando Gola ed esaltato dall’ancestrale poliritmia di Horacio Hernandez e di Giovanni Hidalgo.
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