ERA DI MAGGIO di Giampiero Mughini (Marsilio, 2018). Mi è stato regalato questo mémoire di Mughini sul ’68, che probabilmente non avrei acquistato, ma che ho trovato interessante.
Mughini è conosciuto come eccentrico commentatore televisivo, opinionista culturale, sportivo e di costume, nonché come tifoso della Juventus e per via di qualche comparsata nei film di Nanni Moretti, però ha una carriera di giornalista e saggista di tutto rispetto.
So che c’è chi lo detesta, credo anche per via di quell’azione inflazionante della TV, che prosciuga o corrode coloro che diventano troppo presenti dentro il suo contenitore. Se non figli della cultura televisiva, come per esempio i presentatori, la TV ha bisogno del suo circo, che poi stanca, o meglio, lo spettatore televisivo è chiamato a far percorrere più facilmente una parabola alla fauna esposta, un percorso volto alla facile ascesa e poi al declino, a eccezione dei domatori di questo circo, dei capocomici o di altre figure.
Venendo al libro, il testo è pregnante e non modaiolo al fine di soddisfare la ricorrenza, perché Mughini ha vissuto il Maggio francese in prima persona, dato che aveva vinto una borsa di studio. Fu comprimario in tutte le vicende culturali di quella stagione, di quello psicodramma, come lui stesso lo definisce. E’ bene sottolineare come il governo gollista in quel periodo abbia rappresentato – come rammenta lo stesso autore – la politica ad alti livelli. De Gaulle avviò imponenti misure di crescita, la normalizzazione dei rapporti con l’Algeria, il riconoscimento della Cina maoista. Le migliorie delle condizioni di lavoro in fabbrica conosceranno una concertazione, in buona parte assolutamente autonoma dalle lotte del Maggio, anzi la sinistra operaia francese vedeva con diffidenza questi studenti borghesi che incitavano al comunismo, anzi ai ‘comunismi’ e ai ‘marxismi’. Tant’è che dopo il Maggio ci furono le elezioni, e se prima la maggioranza di De Gaulle era risicata, successivamente ebbe numeri solidissimi.
Colpisce però lo sfrenato individualismo all’interno di questi piccoli gruppi che popolavano la vita culturale e universitaria, in cui espulsioni e scissioni erano all’ordine del giorno.
Cos’è che di fondo quindi detestava quella generazione? Il perbenismo borghese, una società ingessata, una creatività imbrigliata in canoni vetusti, quando nuovi mezzi e nuove possibilità, stili e modi di espressione bussavano alla porta ed emozionavano o stimolavano intellettualmente. Di conseguenza servivano anche nuove categorie critiche e di studio, oltre che valutazioni del pregio e del merito. Molti di noi in questo senso sono figli del ’68, anche per ragioni anagrafiche, familiari e formative.
Il libro di Mughini è ricco di informazioni e riferimenti bibliografici dettagliati, oltre che personali, e ritengo quindi sia un ottimo testo per il cinquantennale.
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