L’AperiLibro tenutosi venerdì 16 marzo a La Veranda è iniziato così: “Sì; è vero – sono nervosissimo, spaventevolmente nervoso – e lo sono stato sempre; ma perché volete pretendere ch’io sia pazzo? La malattia m’ha aguzzato i sensi, ma non li ha distrutti, non li ha ottusi. Più di tutti gli altri, avevo finissimo il senso dell’udito. Ho sentito tutte le cose del cielo e della terra. Ne ho sentite molte dell’inferno. E dite che son pazzo? State attenti! E osservate con quale precisione, con quale calma vi posso raccontare tutta la storia”. Sapete quale incipit è? Il cuore rivelatore, un racconto breve di Edgar Allan Poe, che fu pubblicato per la prima volta nel gennaio 1843. Il racconto è caratterizzato da un narratore inattendibile, non precisato se uomo o donna e l’esattezza con cui ripercorre i vari momenti che lo hanno portato all’omicidio, anziché rivelare, come lui vorrebbe, la sua sanità mentale, ne mette in luce la monomania e la paranoia; nega la propria pazzia rivendicando la precisione con cui compie le sue azioni, e fornisce così una spiegazione razionale per un comportamento irrazionale. A svelarci la follia del protagonista del racconto Poe è stata Martina. Siamo poi passati con Valeria a Erasmo da Rotterdam ed il suo Elogio della follia, uno dei più illustri rappresentanti dell’Umanesimo europeo. L’opera nasce dall’idea di far parlare la Follia in prima persona, e come una gran dama dall’intelligenza devastante, tessendo un raffinato autoelogio, mette alla berlina uno per uno tutti i limiti, le meschinità e le bassezze dell’umanità. “Orbene, chiudere gli occhi, ingannarsi, essere ciechi, illudersi a proposito dei difetti degli amici, amarne e apprezzarne come qualità alcuni dei vizi più evidenti, non è forse qualcosa di molto vicino alla follia? C’è chi bacia il neo dell’amica, chi trova incantevole i difetti…infatti il padre dice del figlio strabico che ha il vezzo di ammiccare. Tutto questo, io domando, che è, se non pura follia? Ripetano a gran voce che è follia: eppure essa sola è capace di promuovere e cementare le amicizie” per chiudere poi con il saluto finale, lo stesso della Follia ai suoi uditori “Vedo che aspettate una conclusione: ma siete proprio scemi, se credete che dopo essermi abbandonata ad un simile profluvio di chiacchiere, io mi ricordi ancora di ciò che ho detto. Un vecchio proverbio dice: “Odio il convitato che ha buona memoria”. Oggi ce n’è un altro: “Odio l’ascoltatore che ricorda”. Perciò addio! Applaudite, bevete, vivete, famosissimi iniziati alla Follia”. Come non parlare di Alda Merini è della sua pazzia, tra vita e poesia. La poetessa trascorse in manicomio lunghissimi periodi della sua vita, e della sua follia parlò in termini di inarrivabile poesia arrivando a dire “Anche la follia merita i suoi applausi”. Di Lei abbiamo letto dalla raccolta Ballate non pagate, ed. Einaudi, 1995. Tutta la poesia della Merini si muove intorno a un dolore radicale che assume multiformi aspetti: di ferita biografica, di incubo mentale, di ansia ascetica, di lutto per le esistenze condivise, recise dalla morte. Ma i versi della poetessa si aprono a feconde contraddizioni e nel momento stesso in cui articolano la loro poetica del dolore dichiarano un senso panico della vita che ha gli accenti di una felicità sensuale, ingorda di vita, di erotismo. È stata la volta, allora di fare una rapida panoramica sugli artisti “folli” in modalità brainstorming con l’idea che proprio quella che clinicamente fu loro diagnosticata come follia, fosse invece la base della straordinarietà della loro ispirazione artistica. Ci sono così venuti in mente: Virginia Woolf, caratterialmente molto instabile, forse affetta da un disturbo bipolare che la portò a tentare il suicidio più volte prima di riuscirci nel 1941; Dino Campana, il poeta legato a Sibilla Aleramo che entrò e uscì dal manicomio con una certa frequenza per disturbi legati alla sua psicosi schizofrenica; Charles Baudelaire, il “poeta maledetto” per eccellenza, condusse una vita squilibrata caratterizzata da instabilità mentale, consumo di alcool e droghe e tentativi di suicidio. Altri artisti con un ramo di pazzia, tra i pittori celeberrimi come Van Gogh, Edvard Munch, Soutine, Ligabue. Tra i personaggi di romanzi, lo stesso Cappellaio di Alice nel Paese delle meraviglie. Sorseggiando l’aperitivo, non abbiamo potuto fare a meno di citare Luigi Pirandello, che con il suo estremo relativismo offre buoni spunti per riflettere su questo tema. Il tema del relativismo sulla pazzia emerge principalmente nel romanzo “uno, nessuno, centomila”. Nel caso di Vitangelo Moscarda, il protagonista del romanzo, il fatto da cui scaturisce una sua profonda riflessione è un commento sul suo naso da parte di sua moglie (Dida), da qui Vitangelo, comprende che ogni persona si crea un’immagine personale di lui, quindi inizia a cercare di distruggere queste sue immagini agendo contrariamente a ciò che aveva fatto sin ora, finendo inevitabilmente nell’essere considerato pazzo. Così nella vicenda di Marco di Dio, il poveraccio sfrattato da Vitangelo, il quale però gli regala subito una casa. Sempre nella letteratura italiano, abbiamo ricordato Italo Svevo. L’autore è stato molto influenzato da Freud e Joyce, e quindi le tematiche riguardano la parte irrazionale: l’inconscio. La coscienza di Zeno, il romanzo viene scritto in netta contrapposizione e come critica alla psicoanalisi freudiana; Bruno Veneziani, il cognato di Svevo, si era rivolto direttamente a Freud che lo giudica “incurabile”. Il fatto fa scaturire in Svevo la convinzione dell’inutilità della psicoanalisi come cura e dell’estrema utilità che questa pratica può avere in letteratura. La coscienza di Zeno infatti è scritta in forma di autoanalisi, il protagonista è Zeno Cosini, ma l’intera opera deriva naturalmente da un’autoanalisi di Svevo stesso. Servendosi della psicoanalisi, Svevo riesce a tirare fuori, passo dopo passo, i segreti di Zeno, particolare importanza ha il capitolo “La morte del padre. Nell’ultimo capitolo dell’opera intitolato “Psicoanalisi”, Zeno guarisce grazie alla pratica del commercio che gli fa acquisire consapevolezza delle sue qualità. La riflessione sul sano e sul malato che Svevo propone esprime un nuovo relativismo, la salute e la malattia come convinzioni. “La malattia è una convinzione ed io nacqui con quella convinzione”, così Zeno parla nei primi capitoli, ma non si ferma qui, Zeno dice anche che “La salute nasce da un paragone”, non esistono persone sane e malate, esistono persone “convinte” di essere malate e persone “persuase” dalla massa e dalla società a considerarsi sane. In particolare possiamo dire che forse, per Svevo, è meglio essere convinti di essere malati che illudersi di essere sani.
Questi i libri e gli autori protagonisti del nostro AperiLibro, dove la follia è stata protagonista, lasciandoci forte la convinzione del suo relativismo e, come insegna Shakespeare tramite il Buffone in La dodicesima notte, che “La follia, mio signore, come il sole se ne va passeggiando per il mondo, e non c’è luogo dove non Risplenda”.
Devi accedere per postare un commento.