IL GIORNO IN CUI ABBIAMO PIANTO di Gianfranco Cefalì (Dialoghi, 2020).
Un uomo, una donna, due destini paralleli. Lui una vita grigia, rotta da un grande dolore. Lei una prostituta. Entrambi portano fratture esistenziali.
E’ la qualità del linguaggio, la capacità di introspezione e qualche felice intuizione narrativa nella descrizione di vicende e personaggi che il libro di Cefalì, autore lametino, attivo nel panorama culturale, trova la sua più felice espressione. Cefalì è influenzato tanto dalla cultura pop quanto da quella più elevata, distinzione peraltro vetusta. A livello narrativo e trasversale mi ricorda a tratti certa nouvelle vague (soprattutto Godard) e Michelangelo Antonioni, mentre in modo più tipicamente letterario Cefalì è di fondo un ‘cannibale tardivo’, influenzato dalla cultura degli anni ’80 e ’90, dall’avantpop statunitense che in misura poliedrica e variabile ha investito tutti noi, o di cui noi semplicemente facciamo parte senza averne consapevolezza.
Il libro quindi è ben scritto e apprezzabile, privo di cacofonie e capace di andare a fondo, anche se a mio avviso una trama più articolata e stringente gli avrebbe giovato. Di fondo il testo presenta quadri narrativi ben riusciti, senza però essere un libro di racconti, alternando le vicende con non rare ellissi.