E’ considerato uno dei migliori gialli-polizieschi di Camilleri, però credo sia nella media della sua produzione letteraria e nella media di quello che si identifica in genere un buon giallo. Forse la sua fama ‘tanticchia’ superiore si deve al fatto che è un Montalbano sociale che vive una crisi di coscienza per via dei fatti del G8 di Genova, delle politiche del governo sull’immigrazione e di tante cose che qualche volta offrono ‘tanticchia’ un pretesto a Camilleri per esprimere le sue idee su questi temi, determinando anche l’empatia del lettore, e ci può stare.
La scrittura di Camilleri a me piace perché ha il ritmo e la capacità di suscitare l’attenzione che aveva la narrazione dei nostri nonni e bisnonni. Credo che lo scrittore siciliano abbia spesso menzionato la sua nonna narratrice che gli raccontava fatti del passato e del presente. Camilleri nella scrittura ha la grazia di quei raccontatori che oggi ci sono di meno, quegli anziani che ci facevano vedere le storie davanti a un fuoco acceso o dei pescatori che pazientemente ci parlavano rammendando le reti da pesca, dei contadini che ci illustravano eventi inspiegabili. Se possibile la narrazione di Camilleri ha una cadenza parentale e femminile, si avverte proprio la voce della nonna nell’incedere, quell’uso dialettale dolce delle donne.
I personaggi sono ben caratterizzati, ci si affeziona, si prova simpatia per essi, come nei film del resto, poi non è che debbano piacere a tutti. Insomma, i soliti Fazio, Mimì Augello, Catarella, Livia e qui la ‘svidisa’ Ingrid che fa capolino in diversi libri.
Una buona lettura, una storia ben congegnata dove si incrocia un presunto delitto – le cui modalità appaiono misteriose – con l’immigrazione clandestina e un criminale morto in quel di Cosenza. La storia inizia con i dissidi di Montalbano, i suoi propositi di dimettersi dalla polizia, e il commissario poi decidendo di sfogarsi con una bella nuotata trova al largo un uomo che galleggia il cui corpo è in stato di decomposizione.
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