Il mio cuore batte su queste tranquille rovine. Odo dal profondo il palpito ignoto, e su per le vene, le fibre, un fluire incessante, come di linfa da lontane radici.
Sono la pianta immortale del mio morto giardino. E i pensieri, questi miei pensieri, sono una folata di uccelli, che tra i rami d’un tratto si posa, e subito vola via. (pag.121)
‘La Veranda’ è romanzo meno noto di ‘Il giorno del giudizio’, capolavoro di Salvatore Satta. E’ ispirato alle vicende dell’autore, che sul finire degli anni ’20 venne ricoverato in un sanatorio per curare la tisi.
Notevole la forza della scrittura dell’autore nuorese, che in vita fu pure un grande giurista. Forse qui la sua penna non è sempre fluida o legata ai dettami della ‘fabula’. Alcuni personaggi sono tratteggiati appena, ma ammirabile è ‘Melanzana’, un tizio arrivato nel sanatorio decenni prima: doveva essere per lui solamente un luogo dove morire, invece vive. Vive anche quando si sottopone volontariamente a esperimenti medici, un po’ per disperazione e un po’ per guadagnarsi il diritto alla permanenza nella struttura. E’ un personaggio che sta sul crinale dell’esistenza, che trova in questa specifica frontiera la sua naturale collocazione, il suo modo di percepirsi ed essere considerato dagli altri.
Il romanzo fu proposto poco prima dell’avvento degli anni ’30, ma pur entusiasmando alcuni critici e letterati pertinenti a un certo premio letterario, non venne pubblicato se non nel 1981. Il Regime allora riconobbe il suo talento, tuttavia gli argomenti, il tema e l’esistenza dei protagonisti contrastavano con la vigoria e l’animo pugnante che il fascismo andava esaltando.
Venne regalato a mio padre proprio appena pubblicato. Allora mi sembrò un dono casuale, oggi ne sento le analogie con la sua sensibilità e formazione, sebbene anagraficamente ci siano stati più di due decenni di differenza fra lui e l’autore.
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