“L’amore non muore”, in un diario “terapeutico” la storia d’amore di Daniela e Oronzo

CON IL LIBRO “L’AMORE NON MUORE RACCOLTA FONDI A FAVORE DI aBRCAdabra


Un diario per raccontare emozioni, eventi quotidiani e sfoghi di una vita che scorre serena. Un diario capace di diventare poi, custode di giorni improvvisamente diversi…

ROMA – Un diario per raccontare emozioni, eventi quotidiani e sfoghi di una vita che scorre serena. Un diario capace di diventare poi, custode di giorni improvvisamente diversi, di un dolore sconosciuto e di una solitudine difficile da comprendere. Quello stesso diario che poi prende vita e diventa un testamento d’amore, un progetto a 4 mani per ricordare una vita insieme e provare ad elaborare la perdita dell’uomo che, per 42 anni, ha riempito ogni istante. Un uomo colpito dalla malattia che quando vede una speranza, se pur da metastatico, nell’Olaparib – farmaco che dà ottime risposte su alcuni tumori- con lo stop di AIFA precipita nella paura e nello sconforto.

Per Daniela Calvaruso – come riporta in una news l’associazione aBRCAdabra ETS, la prima in Italia nata per le persone con mutazione BRCA – questa è stata la funzione del suo “libro intimo”. È solo dopo la morte del marito Oronzo, nel giugno del 2023, per un cancro al pancreas, che si rende conto che, in realtà, il diario, terapeutico per lei, potrebbe essere anche un aiuto per chi sta vivendo il suo stesso dolore. È così che nasce: “L’amore non muore”, un libro, ha spiegato l’autrice, “che volutamente, non ho fatto leggere a nessuno prima di mandare il file all’editore per paura che qualcuno potesse suggerirmi modifiche o potesse, in qualche modo indurmi a modificarlo. Volevo che rimanesse il risultato originale e genuino di un progetto solo mio e di mio marito”.

Ed è proprio la storia d’amore con Oronzo la protagonista di queste pagine: un matrimonio turbolento ma felice, tre figli, un rapporto fatto anche di continue litigate- racconta Daniela- perché mio marito ed io eravamo profondamente diversi. Un connubio anche lavorativo il nostro, con alla base un legame saldo ed esclusivo, ed è per questo che, quando Oronzo è morto, nonostante pensassi di essere pronta, perché, sin dal principio, ho sempre avuto la consapevolezza della gravità del suo tumore, mi sono sentita improvvisamente spiazzata, sola, senza identità”. La storia di Oronzo è la storia di un uomo pieno di risorse ed energie, un imprenditore dedito al lavoro ma anche alla famiglia. Dopo essere rimasto, poco più che ventenne, orfano di padre, essendo lui il maggiore di quattro figli, aveva ricoperto il ruolo di capofamiglia, una famiglia di cui si è sempre sentito responsabile. La sua famiglia d’origine, oltre che dalla disgrazia di un suicidio, è stata decimata dalla malattia. Ecco quel campanello d’allarme che nelle famiglie con la mutazione oncogenetica BRCA, specialmente se portatori sono gli uomini, rischia di non essere intercettato in tempo. Dopo il padre, prima perde la sorella, morta a 34 anni per un tumore, poi anche la madre, il fratello, suicida, ed infine l’ultimo fratello, il minore, anche lui ammalatosi a 34 anni, che muore di tumore, 4 anni dopo.

“Oronzo, soprattutto, dopo la perdita dell’ultimo fratello, soffriva molto la condizione di essere l’unico sopravvissuto-racconta Daniela- La nostra vita a Lecce era piena ed impegnata: eravamo in un momento stressante, ma felice, mio marito ad agosto del 2018 aveva compiuto 60 anni e sicuramente, quando un paio di mesi dopo, ha iniziato ad avere dei disturbi di salute, soprattutto un particolare dolore a sbarra alla schiena, all’inizio, forse anche un po’ per paura, li ha voluti trascurare, rimandando i controlli. Nel mese di dicembre però, una tac prima ed una risonanza poi, ci hanno portato alla diagnosi: tumore al pancreas. Da lì, abbiamo iniziato un percorso nei centri di eccellenza del nord Italia e, da subito ci è stato detto che il tumore non era operabile per le sue dimensioni già avanzate e che era necessario iniziare al più presto i cicli di chemioterapia neo adiuvante al platino, una chemio molto aggressiva, nel tentativo di ridurre il tumore, per poi giungere all’intervento. Così, abbiamo deciso di iniziare il percorso chemioterapico nella nostra città, vicino ai nostri affetti ed al nostro lavoro. Inaspettatamente, dopo aver sopportato effetti collaterali devastanti che lo hanno costretto perfino ad un ricovero d’urgenza, in soli quattro mesi, il tumore è diventato operabile – solo dopo ho saputo da una dottoressa un po’ più loquace, che le persone mutate reagiscono sorprendentemente meglio a questo tipo di chemio – e mio marito ha deciso di farsi operare nella nostra città, sottoponendosi ad un complesso intervento di duodenocefalopancreasectomia”.

Daniela però, non si sente tranquilla: “Era già da un po’ che mi facevo domande su questa malattia: i fratelli erano comunque morti di tumore, anche se di tipo diverso e anche Oronzo si chiedeva perché fosse rimasto solo lui, un interrogativo pieno di dolore e sensi di colpa. Così, anche per i nostri tre figli, ho iniziato a non accontentarmi delle rassicurazioni precedenti datemi dai medici, ed ho iniziato a chiedere delle indagini specifiche, immaginando che potesse esserci di mezzo una causa genetica, soprattutto quando, leggendo qua e là, ho saputo che, in presenza della mutazione del gene BRCA, la chemioterapia poteva essere sostituita da una terapia in pastiglie. Mi veniva sempre risposto che i tempi non erano maturi, che il test di solito veniva fatto solo a pazienti metastatici e che quindi, bisognava aspettare. Solo durante l’ultima chemio ho trovato una dottoressa disposta ad ascoltarmi. In quel frangente, finalmente, gli hanno fatto il test sulla mutazione BRCA ed Oronzo è risultato positivo al gene BRCA1. A quel punto, avendo io stessa avuto mia madre morta per un tumore ovarico, mi sono sottoposta al test genetico insieme ai nostri figli. Alla fine, io sono risultata negativa e, dei nostri figli, solo la ragazza ha ereditato la mutazione del padre e da quel momento è inserita in un programma di screening per questa mutazione”.

“Dopo la fine della chemio, comunque, mio marito, nel giugno del 2019, è stato operato per poi iniziare, come da protocollo, altri cicli di chemioterapia adiuvante. L’anno seguente però, il tumore si è ripresentato con delle metastasi polmonari e, dopo un intervento al polmone, subito interrotto, i medici hanno capito che non si trattava di un tumore primario. A quel punto è iniziato un percorso, se possibile, ancora più faticoso: eravamo in piena pandemia ed oltre alla malattia, c’era la costante paura del Covid con tutte le misure necessarie da adottare. Impattando con paure, precauzioni e protocolli, ho accompagnato mio marito in tutte le visite, alle quali non sempre i medici mi permettevano di assistere. Questo era causa di ansia per Oronzo già nei giorni precedenti gli appuntamenti, perché si affidava totalmente a me e spesso la sua attenzione non gli consentiva di essere certo di poter afferrare quanto il medico di turno gli riferiva. D’altro canto però, preferiva sempre abbracciare un amico piuttosto che mantenere le distanze o mettersi bene la mascherina di protezione ed io ero sempre in uno stato di costante preoccupazione per lui- racconta Daniela- Con l’evidenza di queste metastasi comunque, finalmente ci è giunta l’approvazione per iniziare il parp-inibitore (Olaparib). Ricordo quanto lunga e faticosa sia stata la trafila per giungere a questo traguardo così cercato: mesi di richieste e di attesa finché, finalmente, nel maggio 2022, ci siamo assicurati quelle pastiglie salvavita ed abbiamo potuto interrompere la chemio per infusione. Forse è in quel momento che mi sono rasserenata un po’: nonostante sapessi benissimo che per la scienza non esisteva ancora una cura per questo tipo tumore, il fatto che ci potesse essere un sostituto di quelle infusioni, da gestire autonomamente, da casa, ci dava la possibilità di avere una qualità della vita diversa e, per noi, questo traguardo è stato fondamentale. Quando poi, nel novembre di quello stesso anno, AIFA ha deciso di sospendere questo trattamento per i nuovi malati di pancreas, mutati e metastatici, perché ritenuto non efficace ai fini della sopravvivenza, superata l’iniziale paura di un’interruzione anche per lui, Oronzo è stato devastato a livello psicologico: si rendeva conto che era stato fortunato ad aver avuto questa cura, ma allo stesso tempo, profondamente amareggiato per coloro ai quali veniva negata questa possibilità. Purtroppo, certe decisioni non tengono conto di quanto la qualità della vita possa fare la differenza, fosse anche soltanto per una sola persona”.

Il momento in cui si diffonde la notizia della sospensione da parte di AIFA si accavalla alla morte di Gianluca Vialli proprio per tumore del pancreas che accende luce e sensibilizzazione su una malattia tanto invisibile quanto di difficile diagnosi. Il diario di Daniela è dedicato a suo marito, ma è anche un faro che si accende su questa difficile patologia, spesso scoperta troppo tardi.

“Le nostre giornate- continua Daniela- sono andate avanti fino a quando si sono presentate, questa volta, a giugno 2022, delle metastasi cerebrali diffuse, alcune più piccole, altre di dimensioni maggiori, trattate con radioterapia del tipo gamma-Knife e con la possibilità di continuare comunque il parp-inibitore, anche se ad ogni consegna delle pastiglie, ritardi ed imprevisti ci mantenevano in continuo allarme. Intanto si era presentato un dolore alla schiena, via via sempre più continuo e pungente che, ad una prima tac negativa, ad agosto 2022, non è stato mai più adeguatamente indagato. Quando, ad aprile 2023, mio marito, dopo mesi di sofferenza, aveva ormai perso la mobilità – si è scoperta la presenza di un’unica metastasi alla schiena, ormai di dimensioni troppo grandi perché si potesse risolvere. Questa metastasi, definita dai medici ‘evento raro per un paziente di tumore al pancreas’ è stata poi la causa della morte, il 7 giugno 2023”.

“In questi 4 anni e mezzo dalla diagnosi, nonostante i medici ci avessero fatto capire senza mezzi termini che l’esito sarebbe stato quasi sicuramente infausto, la speranza non ci ha mai abbandonato. Abbiamo continuato a lottare sempre: mio marito era una persona determinata e positiva ed entrambi non abbiamo mai smesso di sperare di rientrare nella casistica di quel fortunato 8% che sopravviveva a 5 anni, per cui, Oronzo, col passare del tempo, come un prodotto alla scadenza, mi chiedeva spesso, se quei fatidici 5 anni, si sarebbero dovuti contare dalla diagnosi oppure dall’intervento”.

È così che in questi anni, racconta l’autrice, “Il diario mi ha permesso di mantenere vivi i nostri ricordi, la nostra vita insieme, e quando ho deciso di pubblicarlo, ho scelto di dividerlo in tre parti diverse: la parte del ‘prima’ dove ho scritto la vita che conducevamo, il lavoro, gli svaghi, le giornate tranquille e ordinarie; la vita dopo la diagnosi che, ovviamente ci ha sconvolto e che ci ha scaraventati in un’altra dimensione in cui era difficile lavorare e in cui le nostre giornate erano scandite dalle visite mediche, i controlli, gli effetti collaterali; infine il ‘dopo’, con la scomparsa di mio marito e l’inizio di un’altra vita, quella che mi sono trovata ad affrontare da sola e in cui mi sono scoperta un’altra persona, una persona fragile e sola. Ho diviso questa ultima parte in nove capitoli, dal primo al nono mese, perché ho immaginato che, come un embrione nel ventre materno, impiega questo lasso di tempo per diventare individuo, così io, cresciuta insieme alle pagine di quel diario, sono diventata, in nove mesi, giorno per giorno, mese dopo mese, una persona nuova, una persona diversa”.

“Vorrei intanto che la mia storia arrivasse a più persone possibili- racconta Daniela- Di fronte ad una malattia come questa, ci sono tante persone che ancora vivono nell’ignoranza e tanti che ancora preferiscono non sapere di essere positivi o meno alla mutazione, pur in presenza di un mutato in famiglia, per paura di ricevere una eventuale conferma della mutazione, come se il non sapere possa portare alla salvezza. Oltre alla divulgazione c’è anche un intento benefico: ho deciso di destinare i proventi delle vendite a due associazioni che mi sono state molto vicine in questi anni. Quando mi sentivo sola o avevo qualche dubbio, sulle pagine social di aBRCAdabra Ets o della Fondazione Nadia Valsecchi ho sempre ricevuto risposte e vicinanza ed è per questo che non ho avuto dubbi sulla scelta. Sono certa che mio marito, generoso e altruista qual era, ne sarebbe felice e sarebbe fiero di me”.

L’associazione aBRCAdabra, a questo proposito, ricorda che “Negli ultimi anni si è avuta una significativa crescita dell’incidenza dell’adenocarcinoma del pancreas tra gli uomini, sebbene si manifesti senza grandi differenze in entrambi i sessi e recenti studi dimostrano che, anche se in percentuale minore, esiste un rischio aumentato, in entrambi sessi, per le persone portatrici della mutazione BRCA”, spiega Maria Grilli, segretaria generale di aBRCAdabra ETS.

aBRCAdabra ha siglato la partnership con AISP, Associazione Italiana per lo Studio del Pancreas che integra da più di 40 anni in un contesto multidisciplinare tutte le professionalità interessate alla ricerca scientifica e alla cura delle malattie del pancreas. La missione dell’associazione è di natura culturale, scientifica e di supporto a pazienti e familiari. AISP ha realizzato un Registro Italiano di Famiglie A Rischio di Cancro del Pancreas (IRFARPC). Questo registro nasce dall’esigenza di individuare i soggetti a rischio di cancro del pancreas per familiarità e/o predisposizione genetica, da sottoporre, al rispetto di criteri minimi di arruolamento e di età (40 anni compiuti o 5 anni di meno del più giovane caso di tumore pancreatico in famiglia), a sorveglianza attiva attraverso esami e/o procedure diagnostiche presso alcuni centri altamente specializzati che fanno parte del Network. Per identificare i soggetti aventi criteri di arruolabilità al registro, è disponibile l’APP iRisk per piattaforma iOS, o Android. Per ogni ulteriore informazione in merito ai centri del network e al registro è possibile consultare il nuovo sito di AISP oppure contattare gli amministratori del registro inviando una mail all’indirizzo dedicato.

“Ci sono tanti modi per trasformare il proprio dolore, quello di Daniela è stato speciale e unico. Scrivere un bellissimo libro dove parla di suo marito Oronzo, e oggi tutti noi lo sentiamo anche un po’ nostro”, conclude Maria Grilli.

di Chiara Buccionewww.abrcacadabra.it

fonte Agenzia DiRE

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