Che poi quel giorno ci passavo per caso al Bar Corona. Stupita e incuriosita, non ricordavo ci fossero tavolini fuori e, a mo’ di siepe, grandi vasi con piante sempreverdi che regalano un’aria signorile.
Come avessi un caffè in sospeso, mi avvicino per sbirciare gli avventori…
Qualcuno, con svariate primavere e fioriture da raccontare, gioca a carte. Tipici. In quattro. Due contro due, squadra vincente non si cambia.
Risorse in via di estinzione. Cuori stagionati ma freschi. Tramandano la vita, il presente che non finisce mai. Quelli con il cappello e la Panda impossibile da sorpassare e la minestrina la sera.
Un po’ lontani dalla “Compagnia delle Indie”.
Quelli che, quando arriva quell’età e ti fanno gli auguri ti rode.
Soffia vento d’Africa, si sente la musica e qualcuno tamburella con le dita sul tavolo.
Parlano poco. Le emozioni se le tengono strette che a raccontarle diventano ordinarie.
La fisicità racconta di loro.
C’è quello che porta il pane a casa e il cane fuori. Quello senza fissa signora, dopo aver mandato a “fanciullo”, come suggerito amichevolmente dal “correttore automatico” la moglie lamentosa -dovesei-conchisei-dovevai…
Quello che fa buon viso a cattivo gioco.
Quello che, brutto ceffo, meglio non incontrarlo di notte in un vicolo buio, fa buon gioco a cattivo viso.
Esseri umani con qualche difetto di fabbricazione come tutti.
Giro di carte. La partita inizia. Porca Mucca!
Cambiano le espressioni, anzi scompaiono. Mai rivelare le prossime mosse. Si illuminano di luce propria, ma sembrano tutti uguali.
La Fortuna dipende da come saprai giocarti le carte che il fato ti ha messo in mano e la partita dirà se sei furbo, abile o sognatore e inventore di cabale impreviste. A volte il talento c’è ma non si vede.
Ogni volta, ogni partita è come rivedere la vita. La puoi affrontare in tanti modi. Sta a te giocarti adeguatamente le carte che ti sono capitate. A volte si vince anche perdendo.
L’incertezza è il prezzo da pagare che ci sarà di sicuro, ma senza sapere quando arriverà il conto e se sarà proporzionato.
Scarabocchiando nel tempo c’è quello che “vuoi” e poi c’è quello che “puoi”.
L’importante è quello che provi mentre corri e non alla fine della corsa.
Il finale lo subisci, ma l’immaginazione ci rende infiniti.
Ci vorrebbe il senno di prima che quello del poi non serve. Eravamo belli all’epoca delle spalline imbottite, quando avere spalle grandi era facile.
Le parole che non dico sono come le cose che non si fanno fare…come un recinto per il vento, per i colori, il sole, il cielo, il mare, i sorrisi…
Tanto da farmi desiderare abiti che odorano di ciambelle fritte per poi poter spalancare le finestre e arieggiare gli spazi della mente.
Ah…il caffè…con quanto zucchero?
Già…per tutto il resto c’è il Bar Corona!