Oggi. Mi avvio a passo svelto, come consigliano i medici e i fisioterapisti e correndo secondo me e per il mio ritmo. Cerco di bruciare, così, sulla fiducia, in anticipo, quelle calorie che mi si offrono discinte e ammicchevoli da sopra il bancone del Bar Corona.
Soliti avventori, qualcuno in più, non solito. Solito barista. Anche con la mascherina si riconosce. Mi riconosce anche con la mascherina. Sembra di essere al Carnevale di Venezia, tutte le mascherine diversamente colorate e diversamente protettive.
Per un attimo vedo tutti agghindati in costumi sfarzosi, pomposi, principeschi. È l,immaginazione che si fa avanti come scudo per proteggermi dalla realtà. Approfitto dell’attimo e nel mio vestito più bello, gonfio di damaschi, leggermente allungato sul dietro da sembrare uno strascico, mi siedo con grazia, spero, ad un tavolino rotondo con disegni arabeschi realizzati con piccolissime tessere di pietra…ah…si dice mosaico!
Sbircio il giornale tra il curioso e l’annoiato. Tutti quei numeri di morte e di vita. Tragedie mondiali d’improbabili certezze. Risalite e paure di possibile ridiscese. Statistiche incerte. Sperimentazioni in culla.
Dopo aver preso visione di tutto ciò, vedo arrivare da lontano una grossa fibbia nera che sovrasta scarpe a punta, ottocentesche, e alzando la visuale, anche un costume d’epoca adeguata.
È il barista che, con mascherina nera intonata alla fibbia delle scarpe, sta arrivando con il mio cappuccino senza epoca e caldo giusto come il sole di primavera.
Che il giorno abbia inizio e che affrontarlo, sfidarlo, vincerlo sia un gioco da ragazze!